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Peppino, un antieroe senza cittadinanza

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Peppino Impastato, un antieroe senza cittadinanza

Salvo Vitale

 

L’8 maggio 2002 , nella pagina regionale, “La Repubblica”  pubblicava un servizio su Peppino Impastato con il titolo: “Cinisi rende omaggio al suo eroe”.  In verità, in quel titolo c’erano due errori: Cinisi non ha mai reso un vero omaggio a Peppino Impastato e dubitiamo che, per l’immediato futuro, possa farlo. L’altro errore era quello di qualificare Peppino come un eroe

.Per la prima considerazione, è il caso di fare qualche passo indietro: il 9 maggio del ’78 il paese accolse con soddisfazione, o quantomeno con un certo senso di liberazione, la notizia che “il figlio di Luigi Impastato era andato a mettere una bomba sulla ferrovia ed era saltato in aria”. Tutti sapevano che non era vero, ma tutti volevano ostinatamente credere in quella falsa verità che li rendeva liberi dal dover pigliare posizione di fronte a una figura così ingombrante e e li assolveva dal costante rimprovero mosso da Peppino nei loro confronti, di essere complici della mafia,  Secondo le strategie della “comunicazione nascosta” si diffondevano ad arte false notizie, che diventavano verità comuni difficili da smentire. Ancora oggi, per molti, Peppino era un pazzo, un “lagnusu”, uno che non voleva lavorare, che non voleva studiare, un esaltato, un avventuriero che agiva così perché voleva essere ammazzato, onde riscattare con la morte la propria inutile vita: quasi quasi, chi lo aveva ammazzato gli aveva fatto un favore. Le notizie di “radio-ombra” erano un efficace antidoto a quelle trasmesse da Radio Aut, che bisognava non ascoltare: si diceva che alla radio c’erano terroristi, esaltati, estremisti, pervertiti sessuali, drogati, perdigiorno ecc.: la borghesia benpensante proibiva radicalmente ai propri figli di frequentare la radio o di ascoltarla. Nei nostri confronti scattò allora una sorte di cordone sanitario che alla fine,  due anni  dopo la morte di Peppino, finì col soffocarci e farci spegnere il trasmettitore. Ancora oggi “radio-ombra” lavora diffondendo le sue falsità: una delle notizie che circola a Cinisi è che Giovanni Impastato ha incassato miliardi con il film “I cento passi”,  altri milioni avrebbe ricevuto come vittima della mafia e altri ancora come indennizzo processuale: a sentire questa gente ci troviamo davanti a una sorta di nababbo che usa il nome di Peppino solo a suo uso e vantaggio. E’ il caso di dire che Giovanni, ad oggi non ha visto una lira e che ci ha sempre rimesso moltissimi quattrini nell’organizzazione di iniziative, ma la falsa notizia è utile per gettare discredito su di lui, come prima si era fatto con il fratello. E comunque, nella vicenda Impastato Cinisi, ove si escluda lo “zoccolo duro” dei suoi compagni, non c’è mai stata, ha disertato costantemente trentacinque anni di manifestazioni, dibattiti, interventi di personaggi di spicco: ci siamo ritrovati in pochi, le solite facce, davanti all’indifferenza e alla diffidenza di chi se ne sta sornione dietro la finestra avvolto nel suo “parla quanto vuoi, tanto non ti sente nessuno”. Si potrebbe obiettare che Cinisi, negli ultimi anni ha avuto due giunte progressiste, che si è costituita parte civile al processo contro Impastato, che a Peppino Impastato è stata finalmente intestata una strada (cui, qualche anno fa, ignota mano ha sovrapposto la scritta “via Gaetano Badalamenti vescovo”), oltre che l’aula consiliare, che i ragazzi delle scuole medie hanno fatto pregevoli lavoretti su Peppino, ma tutto questo non cambia la generale ostilità nei confronti di una persona ancora oggi ritenuta scomoda ed estranea al tessuto culturale del paese: alle manifestazioni i cinicensi si possono contare sul palmo d’una mano. Circa dieci anni fa, quando il Consiglio Comunale è stato sciolto per collusioni con la mafia,  il paese si è  chiuso a riccio e si è difeso dicendo che si trattava di una speculazione politica del Polo, allora al governo, nei confronti d’una giunta di centro-sinistra: ovviamente lo stesso paese non ha esitato a scegliere un altro sindaco, non importa di quale colore, che permettesse una tranquilla gestione degli affari del territorio ai vari “amici degli amici” che ancora vi proliferano. Il paese, che, malgrado la proclamazione di lutto cittadino, aveva quasi ignorato il funerale di Felicia Impastato,  ha partecipato in massa ai funerali di Peppone Di Maggio, figlio del boss Procopio, salutando il feretro con applausi e chiudendo le saracinesche al suo passaggio.  

Cinisi è il paese di Saveria Palazzolo, moglie di Bernardo Provenzano, così come pure del “ministro dei lavori pubblici” di costui, Pino Lipari, già individuato da Peppino nel 1978 come speculatore mafioso in merito alla vicenda del villaggio turistico Z 10, di cui  è azionista. A Cinisi continuano a muoversi gli eredi di grandi famiglie mafiosi, come i Badalamenti, i Di Trapani, gli Impastato, che ancora oggi troviamo al centro delle cronache giudiziarie. Se qualcuno prova a chiedere  a Cinisi  dov’è la casa di Peppino Impastato, viene guardato con un’aria diffidente: la risposta è “Ma…Non lo so…Impastato chi?”.  Per non parlare di una scolaresca di Bagheria che recentemente, è arrivata col pullman a Cinisi: la professoressa che li accompagnava ha chiesto a due giovani in macchina: “Scusate, dov’è la casa di Peppino Impastato?”  E uno dei due sapientoni: “Ma che andate cercando? La so io la vera storia di Peppino Impastato…” La professoressa gli ha subito risposto: “Visto che è così bene informato, perché non ce la racconta?”, ma i due polli hanno preferito mettere in moto e andar via.   Un paese irredimibile? La tentazione di definirlo tale è grande, se ogni tanto non si notassero vaghi spiragli di novità, ben presto risucchiati dal conformismo generalizzato. Esistono giovani con idee chiare, che hanno fatto o hanno voglia di fare scelte d’impegno civile, ma che stanno a una certa distanza da Peppino Impastato, dai suoi compagni, dalla sua famiglia, quasi fermati da arcane paure, da interiori, spesso inconsci stimoli a mantenere le distanze, a non lasciarsi coinvolgere con qualcosa che non fa parte del loro modo di essere, qualcosa che presenta oscuri significati, che comporta il rischio di esclusione dal contesto sociale rappresentativo del paese, di cui si desidera far parte. Peppino era e rimane un corpo estraneo nella storia di Cinisi, una minaccia per alcuni valori sedimentati e intoccabili, come la famiglia, il rispetto dei ruoli, l’accettazione passiva delle prepotenze mafiose, la furbata, la conservazione degli equilibri sociali, la possibilità di avere un contatto, un collegamento, un trait-d’union, una via d’accesso con chi “conta”, chi può aiutarmi a conseguire un obiettivo, non importa con quali metodi. Il concetto di “rottura” , tipico delle generazioni del ’68, diventa sempre più difficile in un contesto sociale in cui il “non allineamento” automaticamente comporta l’esclusione, la messa ai margini, la mancanza di punti d’appoggio o di riferimento, la tasca vuota, l’incapacità o la scarsa voglia di fare i conti con se stesso. Insomma, Peppino è cinisaro come Gaetano Badalamenti, ma se ai cinisara viene chiesto di schierarsi con uno dei due, si può facilmente prevedere che con Peppino si schiererà la solita minoranza.

Sull’altra questione di “Peppino eroe” va detto che Peppino è stato uno di noi, ha vissuto come noi le esperienze del suo tempo, cercando di starvi dentro come testimone e come protagonista, ci ha lasciato un esempio di coraggio, ma che la definizione di eroe sarebbe la prima cosa che egli stesso avrebbe rifiutato: se la lotta contro la mafia si considera un fatto normale e civico e non un atto d’eroismo, è possibile che il suo messaggio, come lui sognava, possa diventare una comune, normale e doverosa scelta della società civile e di chi la governa, viceversa resterà qualcosa da delegare ad altri, definiti eroi, resi irraggiungibili, che diano un alibi e una copertura alla nostra incapacità o mancanza di volontà.

I cambiamenti sono lentissimi e non tutti positivi. Qualche giorno dopo la morte di Peppino, parlando a Cinisi in un comizio, Umberto Santino disse: “Fino a che queste finestre rimarranno chiuse, il sacrificio di Peppino sarà stato inutile”. Sono passati trentasei anni e le stesse finestre sono ancora chiuse come allora, in una mesta sensazione di solitudine                                                                                         

 

 

( 17 aprile 2014 )



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