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Aspettando la pioggia

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Aspettando la pioggia

L’estate finisce il 21 settembre, ma oggi, 2 settembre, sembra già autunno. Cielo nuvoloso, aria fresca e, come al solito, illusione di pioggia che invece  non arriva.  I giornali e gli esperti dicono che abbiamo avuto l’estate più piovosa del secolo, che a Palermo sono caduti 77 millimetri di acqua, e mentre la penisola si dibatte tra smottamenti, bombe d’acqua, (che una volta si chiamavano nubifragi)  tracimazioni di fiumi,(che una volta si chiamavano straripamenti)  noi continuiamo a vivere, come in una condanna, nella siccità, in parte determinata dalle condizioni climatiche, in parte dalla mancata volontà di gestire, come si faceva una volta, l’acqua della Diga. I pochi soldi ricevuti da chi oggi gestisce l’invaso Poma non sono stati utilizzati per aggiustare le perdite e i guasti, che hanno privato dell’acqua intere zone agricoli, condannandole alla siccità, ma per cambiare alcune, solo alcune, delle vecchie e indistruttibili giarrotte di ferro, con giarrotte di plastica che, al primo impatto, si sono rivelate fragili e malmesse, al punto che, la settimana scorsa, da una di esse, in contrada Bosco, si è aperta una perdita che ha allagato le campagne della zona e ha fatto perdere inutilmente migliaia di metri cubi di acqua.  I contadini che ancora se ne occupano, stanno facendo la vendemmia, ma quest’anno abbiamo visto pochissimi trattori  e camion portare l’uva alle cantine sociali: il basso prezzo con cui è pagata, si parla di 10/12 centesimi a kg. ha  indotto molti  viticultori a lasciare l’uva dov’era, poiché, a conti fanti, dopo un anno di lavoro e di cure, a chi la coltiva non rimangono in tasca neanche i soldi per pagare le spese. Non parliamo del pomodoro, ormai ovunque marcio o mangiato dai vermi:  la bella attività di “fare le bottiglie”, preparare la salsa di pomodoro per l’inverno, è ormai un lavoro di pochi volenterosi, che ancora si rendono conto della differenza di sapore che esiste tra la salsa fatta in casa e quella acquistata al supermercato e non intendono rinunciarvi, costi quel che costi.  Quella di una seria politica che torni a valorizzare l’agricoltura è la carenza più grave nell’agenda dei tanto strombazzati mille giorni renziani: Renzi e la sua corte non hanno capito che solo un ritorno alle campagne può azionare il volano per risolvere i problemi dell’economia e dell’occupazione. Naturalmente si tratterebbe di un settore che dovrebbe  essere assistito dallo stato, come si faceva una volta, con crediti agevolati per l’acquisto dei mezzi di lavoro, di concimi, sementi, fitofarmaci, con un prezzo seriamente scontato per i carburanti agricoli, con  l’accesso a vantaggi economici concreti per la produzione di energia e per l’attivazione di cicli di produzione e distribuzione del prodotto. E invece il nulla. Non sappiamo chi è il ministro dell’agricoltura, perché inesistente, dopo la poco gloriosa parentesi della Di Girolamo, non si sa che cosa intendono fare lo Stato e la Regione per i giovani che volessero indirizzarsi nell’agricoltura, anzi si sa, cioè niente, e nemmeno  se sia mai venuto in mente a questi emeriti cervelloni che agiscono “per il bane del paese”, di realizzare una programmazione, o come si diceva una volta, una pianificazione del lavoro agricolo con precise indicazioni sulle coltivazioni da effettuare. C’è poi il difficile problema della concorrenza dei vicini paesi mediterranei, per non parlare della ormai facile circolazione delle merci sul mercato globale, che comporta il confronto con i prezzi, spesso competitivi: in tal caso bisognerebbe seriamente pensare a qualche forma di “protezione” del nostro prodotto, e non parliamo solo di quello agricolo, rispetto all’ormai dilagante liberoscambismo. Per tornare dalle nostre parti, tra qualche incendio, che non guasta, qualche incidente mortale, che è diventato norma, qualche pompa nuova di benzina che apre allo svincolo dell’autostrada, ma non consente l’accesso a chi viene Partinico, tra l’apertura di qualche altro centro di vendita di prodotti per la casa e la chiusura di moltissimi negozi per cessazione di attività, si continua a vivere per non morire.  Lasciamo perdere il discorso sulla “munnizza”: ormai è diventato “normale” vivere tra i rifiuti, guardare montagne di sacchetti che fuoriescono dai cassonetti, inebriarsi della loro  disgustosa puzza, chiedersi addirittura se a questa non sia più forte questa o  quella proveniente dalla distilleria che imperterrita continua a lavorare, quest’anno magari un po’ meno, vista la ridotta produzione. Diventa normalità, assuefazione, quello che, in una situazione “normale” sarebbe schifo, nausea, vergogna, inciviltà, disgusto. E’ per questo che, dopo 150 anni di unità siamo sempre Sud, periferia della nazione, luogo dove la civiltà arriva secoli dopo, luogo dove tutte le attività commerciali sono in crisi e chiudono nel momento in cui si chiede un rispetto delle regole che tutelino lavoratori e ambiente, luogo in cui esistono persone che si credono più “sperte” degli altri e che pertanto cercano di vivere a spese degli altri, siano essi mafiosi, politici, imbroglioni, truffatori. E per di più, data la mancanza di alternative, di uomini validi, di soldi, di progetti, continuiamo a tenerci le stesse inutili facce di sempre aspettando che Dio riesca a fare quello che gli uomini non sanno fare o si rifiutano di fare. Ma  qualche dubbio che anche dio ci riesca rimane. Del resto egli si scorda troppo spesso di noi. Anche di far piovere, come altrove. E quindi andiamo avanti aspettando la fine dell’estate, aspettando la pioggia, aspettando il miracolo.

(Salvo Vitale)

( 2 settembre 2014 )



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