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Referendum sì e no (Salvo Vitale)

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REFERENDUM SI’ E NO

 

Salvo Vitale

 

Dopo il NO degli Scozzesi alla secessione, c’è qualcosa di cui discutere sull’istituto del referendum e sulle condizioni che ne dovrebbero garantire la validità. Nessuno ha messo in discussione la validità di questo referendum, che comunque ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti i sostenitori dell’Unione europea, ma va considerato che tutti gli stati occidentali, qualche mese fa, si sono schierati in appoggio della tesi avanzata dall’attuale governo dell’Ucraina, secondo cui che i recenti referendum per l’indipendenza della Crimea e della neonata Repubblica popolare di Donetsk sono illegali.  Perché l’espressione della volontà popolare dovrebbe essere illegale non è detto: lo ha stabilito Kiev e tutti lo hanno confermato, parlando di inspiegabili violazioni del diritto internazionale. A ben pensarci è illegale l’attuale governo ucraino: le libere elezioni  del 2010 avevano portato alla presidenza Janukovic, che l’aveva spuntata contro una delle più ricche donne del mondo, Julia Tymoshenko: costei da tempo si muove per portare l’Ucraina nella Comunità Europea, ha già avviato negli anni passati la cosiddetta “rivoluzione arancione”, che ha esaltato le fantasie di tutti gli europei, ha subito una serie di processi per brogli e peculato, è stata arrestata, scarcerata, amnistiata e da qualche giorno ha annunciato di voler promuovere  il referendum di annessione dell’Ucraina all’Unione Europea. Contro un tipino del genere non era facile spuntarla neanche per Janukovic, malgrado egli avesse alle spalle lo zar Vladimiro Putin. E infatti il 22 febbraio del 2014 una strana alleanza tra filoeuropei e partiti di estrema destra, compresi quelli filonazisti, con un colpo di stato ha deposto Janukovic, regolarmente eletto, con il benestare degli stati europei e degli Stati Uniti. E’ a questo punto che gli stati che in maggioranza parlano il russo e hanno come punto di riferimento Mosca, a partire dalla Crimea, hanno proclamato la loro indipendenza con relativi referendum. Sia chiaro, non si intende dire che quel bel tomo di Putin sia un santerellino: davanti alla mobilitazione militare dell’Ucraina, che non vuole rinunciare a queste vaste porzioni di territorio, Putin ha risposto mandando i suoi uomini, non come militari russi, ma come “miliziani”, ovvero spontanei (si fa per dire) uomini che lotterebbero per difendere l’indipendenza dello stato cui appartengono. E quindi siamo davanti a un’illegalità, quella  del colpo di stato filooccidentale ucraino, che proclama illegale un’espressione di volontà popolare come il referendum. Gli stati europei, Italia compresa,  si sono affrettati a fare barriera, a mobilitare uomini e mezzi, a inscenare manovre militari al confine, a emanare sanzioni e poi a lamentarsi contro i russi cattivi che hanno emanato delle contro-sanzioni che danneggiano l’interscambio reciproco.  Per non parlare del metano russo che arriva sia in Ucraina, a prezzo ridotto, sia in Italia e che, da un momento all’altro  potrebbe venir meno, con prospettive da incubo per il prossimo inverno.  Berlusconi aveva capito che la disponibilità delle fonti energetiche è preziosa per il futuro di uno stato e, per questo aveva intrattenuto cordiali rapporti, sia pure a titolo personale con Putin , cui aveva regalato un lettone che riempiva di belle donnine quando lo zar veniva a trovarlo, e con Gheddafi, al quale, a parte le duecento ragazze disposte a sentire dentro una tenda le sue lezioni di islamismo,  regalava tutte le armi e i mezzi dismessi dall’esercito italiano, in cambio di un rapporto privilegiato con l’ENI per la fornitura del petrolio. Dopo di lui siamo tornati nel tradizionale appiattimento della politica italiana su quella degli Stati Uniti e adesso il gioco minaccia di diventare pericoloso, né si può sperare nella fragile Mogherini, neo responsabile della politica estera dell’Unione Europea, incapace di una posizione autonoma e responsabile. Rimane un’ultima considerazione: anche in Italia abbiamo i secessionisti, quelli della Lega, che da tempo parlano di referendum, ma non hanno mai portato nessuna iniziativa per farlo sul serio. Il motivo è semplice: perderebbero e lo sanno. Pertanto, gli unici referendum che stanno portando avanti riguardano giuste cause alcune delle quali è facile condividere, come l’abrogazione della riforma Fornero sulle pensioni, l’abrogazione della legge Merlin per regolamentare e tassare la prostituzione, l’abrogazione della legge Mancino (reati d'opinione) e l’abolizione delle Prefetture. Del tutto strumentale e razzista sembra invece la richiesta per impedire la partecipazione ai concorsi pubblici agli immigrati.

 E poi, sia nel caso della Scozia che in quello della Crimea ci troviamo davanti a frammenti di nazione con storie e identità comuni: nel caso italiano, chi dovrebbe andare al referendum? La Padania? E che cos’è? Qual è l’identità da difendere? Quella di una presunta Italia del nord che comprenda Piemonte, Lombardia e Veneto? E le altre regioni, per esempio il Friuli, il Trentino, la Val D’Aosta, la Liguria, la Toscana, l’Emilia e la Romagna? E se passasse questo referendum, cosa farebbe il resto d’Italia, marcerebbe armata  contro i secessionisti, come ha fatto l’Ucraina? Oppure, se noi siciliani proclamassimo l’indipendenza dell’isola dall’Italia, verremmo occupati da truppe americane? Come si vede il principio del referendum, come tutte le cose della politica, è molto elastico e  non sempre comporta il rispetto della volontà popolare: se guardiamo, per esempio, al referendum contro la privatizzazione dell’acqua, troviamo che le stanno studiando tutte per continuare a dare ad agenzie private la gestione delle acque potabili, malgrado il fallimento dell’APS. Una delle condizioni per attivare un referendum è la raccolta di 500 mila firme autenticate. In Italia i referendum sono solo abrogativi, cioè possono annullare leggi esistenti: il referendum propositivo è solo un’indicazione data al parlamento per legiferare. Non si possono fare referendum che riguardano la materia fiscale e i rapporti con l’estero. L’altro vincolo è dato dal quorum, cioè dal raggiungimento del 50% degli elettori, ed è proprio per questo limite che molti referendum sono falliti.  Conclusione: il referendum è espressione diretta della volontà popolare: in altre nazioni, come la Svizzera, esso è una pratica politica frequente, mentre dalle nostre parti si sta studiando di renderlo più difficile, proponendo la raccolta di un milione di firme per rendere valida la richiesta e di 100.000 firme per portare in parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare. Il tutto nell’ambito di un disegno repressivo e limitativo di quell’ansia di libertà e democrazia che i padri costituenti avevano messo dentro la Costituzione scritta nel 1947, sicuramente una delle costituzioni più democratiche del Novecento,  e che alcuni sciacalli si affrettano a cambiare perché la ritengono vecchia  e superata. Il tutto si gioca proprio lì, nel restringimento degli spazi di democrazia, nella limitazione della volontà popolare solo a un momento formale per ratificare ciò che è stato deciso a tavolino da pochi “signori” della politica, di fatto padroni del paese: le proposte più aberranti del cosiddetto “patto del Nazareno” sono date dalla scelta del sistema maggioritario, che taglia fuori le minoranze, e dalla conferma “porcellina” dell’abolizione delle preferenze, con  la designazione a tavolino di chi dovrebbe rappresentare il cosiddetto “popolo sovrano”. Quando questa fame di autoritarismo , che comprende anche l’elezione diretta del presidente della Repubblica, altri sostengono anche del Presidente del Consiglio, sarà finita, e finirà con un “referendum confermativo”, dovremo promuovere un altro referendum per  abolire tutto quello che è stato deciso e tornare come prima, con il risultato che coloro che hanno fame di democrazia e vogliono difenderne gli spazi sono diventati conservatori, mentre coloro che vogliono instaurare forme di neofascismo, sono definiti riformatori e progressisti. E’ l’Italia, ma non solo.  

( 19 settembre 2014 )



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