Come diceva Andreotti? «A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca…». Bene, se dico che tutta la manovra mediatica per portare alle dimissioni Ignazio Marino sia stata condotta di concerto da Matteo Renzi e da La Repubblica credo di averci azzeccato. Come del resto era prevedibile da mesi. Gli interessi, apparentemente divergenti, fra il segretario-premier e il gruppo editoriale, erano evidenti a molti. Da un lato spazzare via le carte dal tavolo e giocare una mano completamente nuova, dall’altro distogliere l’attenzione dalla cloaca emersa con l’inchiesta su Mafia Capitale. Meglio prendersela con Marimo, che tanto ha dato il suo bel contributo alla dissoluzione del suo mandato di Sindaco della Capitale con un impegno davvero impressionante.
Scrivo nel libro Roma Brucia (scritto per Imprimatur e in stampa proprio in queste ore e che sarà in libreria a fine mese):
Vedere le immagini dei fans della Meloni (sto invecchiando e la memoria fa brutti scherzi: ma da quale partito si è dimesso Gianni Alemanno?), dei giovanotti muscolari di Casa Pound, dei sostenitori di quel Mal de noantri “Arfio” Marchini imprenditore prestato alla politica e del Ncd di Angelino Alfano (e di Giuseppe Castiglione) e dei militanti del M5S in piazza tutti insieme a chiedere le dimissioni dell’extraterrestre fa ben capire quale sarà l’alleanza spuria e improbabile che sfiderà il centro sinistra. Come è facile capire per quale ragione il Pd (romano) e Sel si siano apparentemente rappacificati: andare a una lunga campagna elettorale senza il disturbo di un alieno integrale alla politica romana come Marino.
Ma l’obiettivo inconfessabile dell’operazione politico-mediatica a cui abbiamo assistito è un altro. Andando a un commissariamento del comune e a elezioni grazie alle dimissioni del Sindaco rende facile mantenere la secretazione della relazione prefettizia sulle infiltrazioni mafiose. Concentrarsi poi sugli scontrini è rendere l’incendio che sta consumando Roma accettabile, rimuovendo le complicità immense della destra durante gli anni dell’amministrazione Alemanno e del mercato delle vacche degli anni dell’amministrazione a guida Pd.
Fra pochi giorni, il 5 novembre, inizierà il primo processo al sistema di Mafia Capitale. Dopo quasi un anno vedremo in un’aula di giustizia parte dei protagonisti delle cronache di questi mesi. E ci si arriva con una percezione distorta di come siano andate davvero le cose. Gli scontrini di Marino che oscurano le azioni di Massimo Carminati, il suo delirio mentre insiste a non dimettersi (lo doveva fare subito e spazzare lui le carte dal tavolo da gioco e aprire una fase nuova per la Capitale) riesce a oscurare la logorrea di Salvatore Buzzi. E poi le dimissioni del super rottamatore Esposito (può tornare comodamente alla base pronto al prossimo killeraggio per il capo) che fanno svanire sul fondo del palcoscenico i clan che tengono saldamente in pugno Roma. Nonostante le inchieste e gli arresti. Non è solo lo spettacolo che deve continuare, è il business. E il silenzio.
Ripeto. Marino si doveva dimettere subito. Lui è stato complice della sua stessa caduta rovinosa trascinando con se la verità su questa città.
Scrive Marco Damilano nella prefazione sempre di Roma Brucia: