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La Scalidda non c'è più

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“La Scalidda” non c’è più. E’ stata distrutta da lavori di “riempimento” che dovrebbero proteggere l’aeroporto dalle mareggiate. Dove non ha potuto la forza del mare, poterono gli uomini. Nel silenzio di tutti.

 

Era nota a tutti come “A Scalidda”. Il nome le era strato dato dal fatto che, per accedervi, era stata scavata nella roccia e nell’arenaria una piccola scala, con l’aggiunta di qualche gradino di cemento in quei punti in cui la terra era particolarmente friabile. Era una delle tre calette che appartenevano al lato ovest del Molinazzo, ovvero della contrada in cui è stata  costruita la terza pista dell’aeroporto di Punta Raisi: le altre erano “a Caletta di Pitrusinu” e “a Caletta di San Giuvanni”. Il mare, scavando, nel corso dei secoli la roccia, molto friabile, aveva ricavato queste tre insenature, in cui era possibile scendere per andare a fare il bagno. Il fondo marino intorno era ricco di poseidonia e tra le alghe si trovavano grossi ricci ed era possibile pescare, un raro e gustosissimo tipo di pesce “i violi d’u Mulinazzu”. Proliferavano anche “ogghiu a mari”, patelle, granchi , polipi e altri esemplari di fauna marina. Rispetto alle altre due calette, dove c’era appena un lembo di sabbia, la Scalidda aveva circa duecento metri di arenile, dove si depositavano spugne di mare, alghe, asterie e altri depositi portati dalle mareggiate,  tronchi, rami, pezzi di plastica. Ma era facile pulire e fare, con un falò, magari notturno, un sacrificio al dio del mare. Intere generazioni di “cinisara” avevano imparato a nuotare lì. Oltre la battigia il mare sprofondava molto dolcemente. Tre scogli, quasi a pelo d’acqua, segnavano la bravura dell’apprendista nuotatore: “u primu ruccuneddu”, dove era possibile arrivare anche a piedi, “u secunnu ruccuneddu”, dove il mare arrivava a sommergere tutto il corpo, lasciando fuori la testa, e “u terzu ruccuneddu”, dove non si “appericava”, cioè non si poggiava più il piede, per raggiungere il quale bisognava saper nuotare. C’erano anche le corse a chi arrivava primo a “u terzu ruccuneddu”. A protezione della “Scalidda” c’era un costone roccioso alto una ventina di metri. Nella “caletta di Pitrusinu” e verso la caletta di san Giuvanni c’erano grotte scavate dal mare nei secoli, dove d’estate era possibile anche ripararsi dal sole. Tutto questo è finito e per sempre. Con una spregiudicatezza pari all’insensibilità per il rispetto ambientale, si stanno facendo dei lavori di sbancamento e di riempimento che hanno interamente distrutto la spiaggia creando una sorta di discesa a mare per i mezzi meccanici, attraverso lo scarico di grandi quantità di terra. Dal porto di Terrasini, poiché la spiaggetta è inaccessibile, in quanto dominio aeroportuale, si nota una larga striscia bianca che dall’alto del costone scende verso mare e che, presumibilmente, dovrebbe essere calce.  La scusa  dei lavori è quella che il mare stava erodendo la costa e addirittura minacciava, creando chissà quali caverne sotterranee, la testa della terza pista. Ci si chiede come mai il mare, che per secoli e secoli si è fermato, o quasi, attorno alla costa, negli ultimi anni abbia raddoppiato la furia erosiva, sino a richiedere questi interventi. Non ci vuole molto a concludere che questo è l’ennesimo esempio di spreco del denaro in opere inutili. Basta poco: un progetto fatto da un novello ingegnere, una richiesta di finanziamento, che, per lavori di questo tipo, spacciati come misure di sicurezza pubblica è celermente approvata, la mancanza di controlli, perché nel demanio aeroportuale si può fare di tutto senza essere disturbati, e infine una ditta compiacente, molto spesso legata a Cosa Nostra, e il gioco è fatto. La prossima tappa sarà la torre del Molinazzo, perché può ostacolare l’atterraggio degli aerei. La prima volta ci avevano tentato, finchè, su nostra sollecitazione, non è intervenuta la Sovrintendenza ai monumenti a fermare il progetto. L’Associazione culturale Peppino Impastato di Cinisi ha inviato una richiesta alla Procura di Palermo, invitandola a indagare se in tutto questo esistano gli estremi di reato. Il sindaco di Cinisi, al quale è stata spedita analoga richiesta, non si è ancora accorto di niente  e ritiene forse che non si tratti di affari di competenza comunale: come se Punta Raisi non fosse nel territorio di Cinisi, ma in qualche angolo della libera repubblica di santa Fara. Per il resto tutto tace.

 

Cinisi 14-11-2012       

 

ASSOCIAZIONE CULTURALE ONLUS PEPPINO IMPASTATO.

 

( 14 novembre 2012 )



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