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Trappeto: sabato 13 luglio, presentazione del libro: "Danilo Dolci, una vita contro miseria, spreco e mafia, a cura di Pino Dicevi

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L'Associazione Culturale onlus Peppino Impastato, da anni impegnata nel recupero dell'identità e della memoria di personaggi che hanno dato un contributo al rinnovamento della Sicilia, presenta un nuovo libro , dedicato a Danilo Dolci, curato da Pino Dicevi  Si tratta degli atti del Convegno che il grande sociologo organizzò a Palma di Montechiaro il 27,28,29 aprile 1960, di cui, solo una parte era stata pubblicata nel libro "Lo spreco". La pubblicazione è preceduta da una serie di riflessioni sulla storia, la politica, la mafia e altri gravi problemi che, da allora sono ancora irrisolti. 

Questa l'introduzione di Salvo Vitale

 

Perché questo libro?

 

 

Ha un senso leggere oggi gli atti di un convegno tenutosi a Palma di Montechiaro nel lontano aprile 1960, quando ancora la Sicilia era in una condizione di arretratezza spaventosa e indegna di un paese civile? Molti degli atti e degli interventi che costituirono il corpo centrale di quanto discusso a Palma, li troviamo  nel libro “Spreco”, (1) pubblicato da Danilo Dolci nello stesso anno. In particolare creano ancora oggi stupore gli studi puntuali e i dati  riscontrati dal parassitologo Silvio Pampiglione nell’estate del 1959 sulle terribili condizioni d’igiene e di salute fatte su un campione di 600 persone abitanti a Palma, oltre ai risultati di un’indagine, fatta dall’agronomo Pasquale Malpede, sulla condizione delle terre, sulle coltivazioni, spesso condotte con metodi antiquati, e sulla possibilità di sistemi d’irrigazione più razionali attraverso l’utilizzo delle acque che si disperdevano e che avrebbero potuto essere raccolte in invasi artificiali. La possibilità di un costante utilizzo  dell’acqua avrebbe creato posti di lavoro e avrebbe potuto cambiare il volto di vaste zone della Sicilia, attraverso nuove culture agrumicole,  frutticole e orticole. In quel convegno emersero anche, dalla ricerca della psicologa Lidia Morante, dati sconcertanti sulla persistenza dell’analfabetismo totale, che a Palma era del 44%. Al convegno parteciparono molti altri studiosi, ma va tenuto presente che una delle linee guida di Danilo era di non dare voce solo alle dotte relazioni di esperti, ma ai problemi della gente comune, la cui gravità metteva in discussione anche la stessa possibilità della sopravvivenza. Va anche precisato che la radiografia sulle condizioni della povera gente non riguardava solo Palma, ma una serie di comuni, da Roccamena a Corleone, a Cammarata, a Menfi.

Gli atti integrali di quel convegno non vennero mai pubblicati, ma rimasero in un dattiloscritto curato da Pasquale Marchese e da Romano Trizzino, del quale circolarono poche copie. Ho avuto la fortuna di conoscere Pasquale Marchese e di vedere, tra il suo grande numero di libri, una copia di questo ciclostilato, accanto a una copia del libro “Spreco”, che recava questa dedica: “A Pasquale, mio fratello. Danilo”  Purtroppo una serie di dissensi interni sulla conduzione delle attività, allontanarono Marchese da Dolci.

 

Nei confronti di una possibile pubblicazione, ”Né un interesse o una iniziativa (per la pubblicazione n.d.a.) manifestarono il Comitato civico di Palma, che era tra gli organizzatori del convegno, o i politici e gli esponenti della cultura locale, su cui non poteva non agire come freno un’opinione diffusa, anche anni dopo, per la quale il Convegno avrebbe “diffamato” Palma”. (2)

Quella della “diffamazione” è una tipica accusa che viene avanzata verso chi tenta di sollevare il coperchio, per portare alla luce del sole ciò che si tende a nascondere, con l’obiettivo di lasciare tutto nell’immobilità in cui si trova e nella sedimentazione di secolari equilibri di potere, dei quali la mafia rappresenta la più consistente espressione: in particolare a Partinico circolava, come verità comune, la diceria che Danilo si sarebbe arricchito, o comunque avrebbe costruito la sua notorietà speculando sulla miseria che aveva trovato nel quartiere “Spine sante”, amplificandone la condizione e diffondendone le immagini nel mondo. Nulla di molto diverso da quanto affermato dal cardinale Ruffini, che identificava in Danilo Dolci uno dei mali della Sicilia.

A quel convegno partecipò il meglio dell’intellettualità, non solo siciliana. Giorgio Napolitano, allora dirigente del PCI in Sicilia, cercò di richiamare l’attenzione dello stato sul degrado che mortificava l’essenza stessa dell’esistenza di quella povera gente, mentre Leonardo Sciascia “si opponeva anche a chi nel convegno aveva chiesto per Palme “una caritatevole attenzione” perché “l’Italia non si può reggere sulla carta della carità, quando ha conquistato col pensiero e col sangue la sua Carta dei diritti, la sia Costituzione”.(3) 

Passarono altri dieci anni per arrivare a una legge speciale che prevedeva lo stanziamento di dieci miliardi per la costruzione di opere di sostegno e di promozione economica, per Palma e Licata, ma il Comitato cui la redistribuzione della somma per il suo impiego era stata affidata, non fu in grado di andare oltre la sua interna litigiosità.

  1. E comunque, Palma, per qualche verso, come faceva notare Sciascia, è rimasta legata al congenito sentimento siciliano di diffidenza rispetto al fare, per un altro verso non ha potuto sottrarsi “all’ordine delle cose, perché è nell’ordine delle cose che qualcosa cambi”, come diceva il Gattopardo, che in quelle parti faceva il bello e il cattivo tempo. Dal fetido buco in cui dormivano insieme asino, mulo, vacca, conigli, galline, pecore, topi e famiglie intere, infestato di insetti parassiti, pulci, cimici, pidocchi, mosche, zanzare, scarafaggi, dove le malattie trovavano il miglior terreno favorevole al contagio, il paese non si è sottratto all’era dell’elettricità, del gas, della macchina, del frigorifero, dei televisori, dei centri commerciali. Alcuni mali, tipici della sicilianità, sono invece rimasti e continuano ad accompagnare la storia di chi in questi posti è rimasto: “Non si possono formare delle società perché prima manca la fiducia uno con l’altro e secondo siamo in miseria”, (4) riferisce a Danilo un contadino di Corleone, sottolineando la tipica tendenza siciliana alla diffidenza, al sentirsi costantemente “fregato” dal proprio socio, a giocare a “fotticompagno”, a rifiutare pertanto qualsiasi forma di aggregazione che abbia, in prospettiva, il miglioramento collettivo del proprio habitat e della propria condizione economica e sociale. L’altro male, cui sottostà una base solidificata d’ignoranza e di debolezza economica, è quello di lasciarsi attrarre troppo facilmente da sirene che promettono benessere e che sono capaci di farti credere, attraverso l’uso dei mezzi d’informazione, che il benessere virtuale è invece reale: il che è una conferma di quanto sopra, perché il siciliano sa che non cambierà nulla e si accontenta di rifugiarsi, nell’illusione del cambiamento che non turbi il suo sonno. Tutto questo comporta una sorta di vita di riflesso, di condizione parassitaria che si proietta nella sfera del benessere altrui e tenta di coglierne una parte senza troppa fatica. L’intraprendenza crea  investimenti, genera produttività, si prospetta e si proietta nel futuro e in una futura condizione migliore di vita, mentre, per contro, molti siciliani aspettano che “cada la manna dal cielo”, che qualche altro vada avanti e si assuma i rischi, prima di seguirne le orme e vivere di luce riflessa. Il che è anche mafia, pizzo, lontananza dallo stato, che nulla fa per meritare un minimo di credibilità, furbizia nell’arte di sapere arrangiarsi e incapacità di usare con intelligenza le risorse naturali. Ed arriviamo così all’ultimo nodo, quello individuato da Danilo negli anni ’60, ma ancora oggi vivo e onnipresente, lo spreco. L’acqua si spreca, come si sprecava una volta, attraverso reti di distribuzione malandate che ne inghiottono oltre il 30%: la diga sullo Jato, per fare un esempio, perde gran parte di acqua in una serie di tubazioni rotte, i danni non vengono riparati, l’acqua non arriva più nelle campagne, ma finisce a mare o causa allagamenti;  l’agricoltura, che una volta era il polmone produttivo del Partinicese, adesso langue e le aziende chiudono per lasciare il posto a pochi imprenditori che tentano a gomitate di farsi spazio nel mercato soprattutto del vino e dell’olio, cercando di superare con la qualità la concorrenza dei prezzi con i prodotti tunisini o con quelli riciclati nel nord. La distilleria Bertolino di Partinico distilla gran parte del vino siciliano, che ormai ha prezzi irrisori. Ed è spreco. Capita di frequente di vedere, a terra, ai primi di luglio, distese di pesche o di albicocche cadute dall’albero poiché rimaste senz’acqua, ed è spreco. Capita di vedere  intere distese di terre abbandonate, dove una volta c’erano vigneti, poiché ormai la popolazione agricola invecchia anno dopo anno e si è ridotta all’8%, ma soprattutto perché il lavoro contadino non è più remunerativo, a causa degli alti costi dei fertilizzanti, dei carburanti, degli insetticidi, della manodopera messa in regola. Ed è spreco di terre. Ma è spreco anche l’impressionante numero di funzionari  e impiegati regionali, si parla di 27.000, ognuno dei quali è un agente  al servizio del politico o del mafioso che l’ha fatto assumere: ed è spreco di risorse economiche, per pagare a questa gente lo stipendio, di risorse umane, perché impiegare tanta gente a non far nulla significa immobilizzare forze lavoro che potrebbero essere utili in altre sedi o in altri mestieri. Lo spreco è anche dato da mancata utilizzazione della forza-lavoro: nel nostro caso è quello del 30% di giovani disoccupati,  ridotti all’indigenza o alla dipendenza economica delle proprie famiglie, in cui si parcheggiano per mancanza di altre possibilità. Potremmo allargare lo spazio agli istituti di  vigilanza privata, nati perché le forze dell’ordine non riescono a far fronte al controllo del territorio; non riescono perché non vogliono, o perché sono vittime di una cattiva organizzazione, perché non hanno i mezzi e le risorse economiche, perchè c’è una rete d’intese sotterranee che vuole che le cose vadano così? E comunque, quello di affidare ad agenzie private il problema pubblico della gestione dell’ordine, non è molto diverso dai vecchi accordi che si stipulavano tra mafiosi e forze dell’ordine: “io ti garantisco  l’ordine sul territorio e tu mi lasci libero nella gestione dei miei affari”.  Anche qua spreco, tanto quanto quello di centinaia di migliaia di precari, articolisti, cococo, cocopro, contrattisti e altra gente che sopravvive nel precariato senza realizzare alcuna forma di produzione. Per non parlare delle istituzioni scolastiche, soprattutto di quelle private, per le quali i sostanziosi contributi dello stato costituiscono un’ennesima forma di spreco, non diverso da quello di    collaboratori scolastici, provenienti da altre situazioni, e quindi esonerati dal fare certi lavori,  chiusi  nell’immobilità durante le ore di lezione, o addirittura sostituiti, ma non licenziati, da ditte di pulizia privata cui il servizio viene dato in appalto. E la musica non cambia se ci spostiamo negli ospedali, dove è abituale vedere gente che si trova in posti i cui c’è poco da fare, rispetto ad altri che vengono meno in altri posti delicati. O se ci spostiamo in altri campi, come nelle centinaia di migliaia di costruzioni iniziate e mai ultimate o nelle centinaia di aziende, soprattutto quelle di Termini Imerese, cominciate per avere il contributo di promozione e poi abbandonate. E’ spreco quello delle fantascientifiche costruzioni dopo il terremoto del Belice, con strade all’americana, svincoli inutili, ponti che non portano in nessun posto, mercato ittico in una città, come Poggioreale, ben lontana dal mare e moduli architettonici che hanno snaturato le caratteristiche umane e antropologiche dei soggetti che vivevano nei paesi distrutti dal sisma. Per non parlare degli sprechi del bilancio regionale, che si perdono in migliaia di rivoli per tenere invita enti inutili, per promuovere corsi di formazione che servono solo a stipendiare insegnanti nominati senza titolo e senza competenze, ma solo in virtù di parentele e di clientele, oppure per stipendiare parlamentari tra i più pagati del mondo. Spreco quello di progettati campi da golf in posti in cui non c’è acqua, o meglio, in cui il golf è uno sport sconosciuto. Qualche anno fa c’era lo spreco delle ruspe che schiacciavano i prodotti agricoli per tenere alti i loro i prezzi: addirittura erano previsti rimborsi, così come rimborsi sono dati a chi espianta un vigneto. I cassonetti dei rifiuti e le discariche ci portano poi a una riflessione sugli sprechi dell’alimentazione e dei prodotti commerciali, senza che ci sia alcuna voglia di promuovere la raccolta differenziata. Sappiamo che tra questa montagna di ritardi prospera il parassitismo, la mafia, la crescente tendenza alla demolizione del welfare e all’affidamento sia dei servizi pubblici che dei beni comuni, nelle mani di privati, magari sovvenzionati e sorretti da fondi pubblici, come nel caso delle società a partecipazione mista.

 

In tutto questo manca quello che per Danilo era il punto necessariamente successivo all’analisi e all’individuazione delle risorse e dei bisogni, ovvero la programmazione e la creazione di strumenti e delle risorse, umane ed economiche, per attuarla.

“L’importante è rompere, da qualche parte, il cerchio che si è chiuso”(5) Ed è il cerchio dal quale sono state tenute fuori o male utilizzate tutte le risorse che avrebbero dovuto trasformarsi in produttività e ricchezza e che invece si sono perse tra migliaia di rivoli e di bocche voraci, quelle di una classe sociale che Mario Mineo, in altri tempi definiva “borghesia mafiosa”. 

“Questa terra, scrive Danilo, è come una delle tante sue bambine bellissime nei vicoli dei suoi paesi, bellissime spesso sotto le croste, i capelli scarmigliati, nei cenci sbrindellati: e già si intravede come, crescendo lei bene, tra anni quel volto potrebbe essere intelligente, nobilmente vivo: ma pure si intravede come in altre condizioni quel volto potrebbe rinchiudersi patito e quasi incattivito” (6). E’ più o meno la descrizione di Palermo che un gruppo di ufficiali inglesi faceva al Gattopardo: una terra bellissima, con zone e panorami incantevoli, ma piena di sporcizia, di fetore, di desolazione.(7)

I metodi sono quelli che un sociologo come Danilo può individuare nella sua strategia “dal basso”, ovvero entrare all’interno delle situazioni, far prendere coscienza dello sviluppo “possibile”, istituire poli di riferimento, “centri pilota” fatti da animatori sociali, con funzioni di promozione culturale ed educativa, avviare forme di associazionismo, di cooperativismo, di esperienze collettive che diano il senso della forza che nasce dal sentimento comunitario, e quindi organizzarsi in gruppi di pressione per ottenere dallo stato, dagli enti pubblici la realizzazione di progetti che non possono essere portati avanti dai singoli.

“C’è lavoro per tutti, direi anzi, non ci sono braccia, teste sufficienti per farlo. E non si può dimenticare per quanta parte le responsabilità sono nazionali” (8)

Qualsiasi crisi, compresa quella che stiamo vivendo, può essere superata da coloro che la subiscono, se c’è sufficiente volontà di reagire attraverso un sapiente uso delle risorse disponibili. Aggiungerei, se non si intenda, ancora una volta, abboccare all’amo che proviene dal Nord, per farci depredare delle residue ricchezze che ci restano, prima fra tutte l’ambiente, dietro la falsa illusione che tutto questo crei occupazione. Rimane apparentemente senza spiegazione la scelta elettorale dei siciliani a favore di forze politiche che hanno lo stesso programma di altre forze politiche loro alleate, mi riferisco alla Lega, individuabile in uno slogan: “Prima il Nord”. Perché dovrebbe venire prima? Che cos’ha il Nord che lo privilegia? Non siamo tutti cittadini di uno stesso stato? I cervelloni rispondono: “Sì. Ma noi siamo quelli che produciamo, mentre voi siete quelli che vivono sul nostro lavoro”. E noi dovremmo quantomeno rispondere: “Voi siete quelli che ci avete depredato di tutto e che ancora volete continuare a farlo. Ma noi vi perdoniamo. Non siamo un “Grande Sud”, ma solo il sud che vuole andare avanti con il Nord”. Invece la risposta si trasforma spesso in consenso elettorale, al punto che il Sud continua ad essere il “serbatoio di voti” che regge il moccolo alle politiche che vengono dal Nord, sfacciatamente a favore del Nord. C’è qualche speranza di rompere il cerchio?

L’Associazione Peppino Impastato, nell’ambito di un suo originario progetto di studio e di valorizzazione delle risorse del territorio, condotto e gestito attraverso il coinvolgimento e la partecipazione dei ceti sociali più deboli, della “povera gente”, pubblica questo lavoro, grazie  anche al coinvolgimento del Comune di Montelepre, con l’auspicio che la grande eredità di Danilo Dolci possa ancora essere scoperta, riproposta e portata avanti con gli strumenti da lui stesso indicati, soprattutto in momenti, come quelli che stiamo attraversando, in cui la crisi economica e la persistenza del potere mafioso stanno chiudendo le porte a qualsiasi possibilità di ripresa e di rilancio di un Sud troppo spesso dimenticato.

Salvo Vitale

(Presidente dell’Associazione Culturale onlus Peppino Impastato)

 

NOTE:

1     Danilo Dolci: “Spreco”, Einaudi 1960

  1. 2     G.Cipolla: “Danilo Dolci e l’utopia possibile” Sciascia editore,         

       Caltanissetta, 2012 pag 65

3     Cipolla op.cit. pag.69 

4    “Spreco” op.cit. pag. 253

5    “Spreco”, pag.25

6    “Spreco”, pag. 18

7    Tomasi di Lampedusa:“Il Gattopardo” ed.Lumbe pag.166

8    “Spreco” pag.23)

 

( 10 luglio 2013 )



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